Continua il confronto su questo tema, per nulla banale, viste le conseguenze pratiche che esso vuole avere in merito alla didattica, con il grande cambiamento che si propugna in merito al ruolo dei docenti.
Il fatto che i nativi digitali siano un popolo variegato, accomunato più dall'essere dei ragazzi connessi, dei ragazzi che hanno eretto un domicilio stabile dentro la rete, che non dal fatto di possedere solide basi informatiche, sposta l'attenzione dagli strumenti alle persone.
Il compito della scuola è anche di educare i ragazzi ad un uso consapevole degli strumenti che essi posseggono. Spesso essi dispongono di smartphone potenti e in grado di porli in contesti nei quali essi sono privi di una chiave interpretativa e si muovono seguendo le indicazioni del gruppo dei pari, replicando tutte quelle situazioni in cui, predominano una conoscenza superficiale e solo funzionale, non riescono a giungere al senso delle esperienze che vivono.
In tal senso la scuola deve abituare, costruendo setting adeguati e non demonizzando le nuove tecnologie, bensì integrandole nella propria attività didattica, a scoprire un senso che va oltre l'immediato, supera l'oggi e si addentra nella scoperta di un senso di ciò che si fa, ponendo in primo piano i valori della persona nel contesto della relazione. Non si può non partire dal rispetto di sé, del proprio corpo, della propria intelligenza, dei propri sentimenti. Non si può chiedere di avere rispetto per gli altri se non si è capaci di rispetto verso sé stessi. Ovviamente il passaggio successivo è il riconoscimento dell'altro. Il suo valore come persona, dove si specchiano i valori riconosciuti per se stessi e dove, nella reciprocità, si impara che la relazione con gli altri è tesa al continuo crescere, al migliorarsi, al realizzare la propria vita nell'amicizia e nella fraternità. Proprio perché questi sono valori riconosciuti e fortemente stimati, si deve insistere perché essi siano la logica e il senso rientro cui si muove l'uso degli strumenti digitali. Solo così gli strumenti di comunicazione diventano una porta che apre agli altri e non un cunicolo dove infilarsi, nella solitudine e nella negazione della propria natura profonda.
Se le finalità educative sono così importanti, appare evidente che nessuno può chiamarsi fuori da un confronto che precede ogni valutazione sull'uso degli strumenti. Per prima cosa si deve pervenire ad una idea di educazione condivisa, laica, ma rispettosa dei valori fondamentali di ciascuno.
La logica inclusiva diventa la modalità con cui si orienta il lavoro della famiglia e della scuola, ma anche della società nelle sue diverse forme, perché il messaggio non sia dispotico e disorganico, ma ben chiaro e in grado di fornire punti di riferimento certi.
Ecco perché per me parlare di nativi digitali, ipotizzando di ribaltare tutto, fa paura. Non perché non c'è più un ruolo certo per il docente, ma perché rischiamo che gli adolescenti e i ragazzi percepiscano un adulto che non ha nulla da insegnare, in analogia alla sua limitata propensione tecnologica, derubricato a vecchio residuato bellico, un oggetto misterioso, utile forse in altri tempi, ma definitivamente destituito di senso nell'oggi. Un adulto povero, ridotto alla parodia dell'insegnante, un intrattenitore che svolge la funzione di valletta davanti ad una LIM che passa contenuti di altri, che ha rinunciato alla sua capacità narrativa, alla sua voglia di trasmettere ciò che sa, non solo ciò che gli hanno insegnato o che ha sbirciato qua e là. Un adulto così gli adolescenti di oggi lo sbranano e lo riducono al nulla in poco tempo.
Allora si deve fare un passo oltre, cercare di ridefinire il ruolo del docente anche in forza di dinamiche che vanno riviste, ma non necessariamente capovolte, dove le tecnologie hanno un posto importante, ma non esaustivo ed unico, dove l'informazione non è confusa con la formazione, dove le news non sono il sapere, dove la continuità tra ciò che si sa e ciò che si è, è testimoniata, in carne ed ossa dall'insegnate e dalla sua competenza. Ridefinire il modello è il ruolo è complesso, certamente sperimentale, necessitante di apertura e di fantasia, ma si deve ancorare a una solida professionalità dove la conoscenza, la competenza e le capacità relazionali ed educative, che producono autorevolezza, sono parimenti essenziali.
Un compito arduo, quasi impossibile se ad accettare la sfida è l'insegnante singolo, solo di fronte alla classe, solo nei consigli di classe, solo nei collegi docenti, solo in una scuola che guarda al futuro con meno speranza di quanta sia la nostalgia del passato. Ma la sfida si fa avvincente e possibile se la si affronta insieme, con il confronto, con l'amicizia di chi ti sta accanto condividendo il tuo cammino; se canto agli insegnanti ci sono genitori attenti e appassionati, che vogliono misurarsi con il loro compito da adulti e non da compagni di giochi dei figli.
Un'illusione? Forse no.
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