Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
La sensazione che può trasmettere il web, anche i blog, è quella della solitudine, pur immersi in una moltitudine di persone. Credo che i miei compagni di avventura in questa esperienza ed avventura che è il corso di formazione di Generazione WEB Lombardia, possano capire questo mio stato d'animo.
Scriviamo i post per il nostro blog, ma non ci sono commenti, o sono molto pochi. Manca poi anche una reale interazione tra i diversi blog (siamo blog amici tra noi?).
Ma allora perché scrivere, per chi?
La risposta è difficile, ma provo a trovarla tra le pieghe di questo inizio di corso: iniziamo a conoscere lo strumento, impariamo a metterci le mani, forse pasticciare un po', perché poi la conoscenza dello strumento ci permetterà di piegarlo a nostro piacimento a quelle esigenze che nascono dalla didattica e che trasformano il blog da una pagina morta ad un luogo di incontro e di scambio.
Ma...
Ma il problema principale quando parliamo di web 3.0 e di classi 3.0 è dentro la nostra "frustrazione" di questi giorni. Come noi oggi non riceviamo feedback così domani potremmo scoprire che i nostri studenti invece di trovare il blog, che con tanta fatica abbiamo costruito e condiviso, un luogo di incontro, di scambio di restituzione degli esiti della loro ricerca e della loro acquisizione di informazioni, considerano il nostro blog un luogo NOSTRO, non loro. Sono degli estranei in una terra straniera, anche se ben piantata dentro la mappa del loro mondo digitale.
Perché accade questo?
Semplicemente perché è il nostro blog. Lo abbiamo creato noi, ne abbiamo costruito l'ossatura, abbiamo deciso cosa metterci, lo abbiamo popolato di contenuti e abbiamo chiesto la loro visita, i loro commenti. Non è il loro mondo, è il nostro proiettato nell'agorà virtuale di internet.
Cosa fare?
Una prima risposta, forse banale, è quella di cambiare prospettiva (flipped classroom) chiedendo agli studenti di creare il loro blog.
Allora è tutto risolto?
No. La mia esperienza mi dice che vi sono più difficoltà. La prima è che, come docenti, dobbiamo metterci ad insegnare a creare blog, a gestirli; in pratica dobbiamo richiedere agli studenti lo stesso percorso formativo che facciamo noi per imparare a gestire il nostro blog/diario di bordo di generazione web. Valutando l'efficienza ed efficacia del percorso parrebbe che il bilancio sia in perdita (di tempo, soprattutto). La seconda difficoltà è legata al fatto che gli studenti percepiranno questo blog come una realtà estranea alle loro frequentazioni della rete. In fondo lo fanno per compiacerci. Se gli avessimo chiesto una relazione scritta a mano sarebbe stato uguale! L'unica consolazione è che con il computer ci può scappare un copia-incolla che salva dalla fatica di produrre un testo totalmente originale.
Ma allora cosa possiamo fare?
Di nuovo flipped classroom. Anzi direi flipped teacher. Non sono loro che devono entrare nella nostra isola posizionata dentro l'arcipelago di internet, ma noi che dobbiamo entrare nel loro mondo. Un po' come avveniva una volta con second life quando si costruiva la propria vita virtuale e dentro essa si costruivano nuove relazioni ed amicizie. Come avviene nelle community di discussione e di condivisione di interessi, dove, pur senza essersi mai visti in faccia, ci si è detti tante cose, condiviso tante conoscenze, curiosità, informazioni, emozioni... Il flipp ridefinisce il nostro ruolo da docenti a guide, tutor di un percorso in cui noi siamo coloro che offrono la propria esperienza per guidare e dare indicazioni, ma con quella naturalità con cui chiediamo informazioni sull'ubicazione di un negozio e, poi, seguiamo quanto ci ha detto una persona che è uno sconosciuto. Entrare nel mondo di internet dei ragazzi e aiutarli a cogliere quei fili invisibili ai loro occhi che li possono portare a scoprire luoghi di acquisizione di conoscenza e di condivisione, quali sono i blog.
Come farlo?
Prima di tutto capire come si muovono dentro internet. I ragazzi nativi digitali hanno già un loro mondo. Quelli veramente nativi digitali e non solo fruitori di contenuti (da diletto), appassionati di condivisione di immagini e sciocchezze di varia natura sui social network, hanno già un blog, magari anche un sito, hanno un'esperienza consolidata di utilizzo del web. Va conosciuta. I nativi digitali videoludici, invece, vanno aiutati ad uscire, spesso, da vere e proprie forme di dipendenza dai giochi. Andare oltre le esperienze dei giochi, per giungere ad un uso degli strumenti informatici e di internet, aperti alla dimensione dell'acquisizione di conoscenze. Non è un percorso facile, perché la tentazione è di ritornare sempre a ciò che è più semplice: il gioco. L'attrattiva è forte! Certi giochi sono costruiti per suscitare meccanismi di dipendenza. Vi sono ragazzi che trovano nel web la risposta alle loro pulsioni sessuali, che diventano dipendenti dai contenuti facilmente accessibili, che costruiscono immaginari irreali e si richiudono, ancora di più, dentro le loro paure e insicurezze relazionali.
Una volta capito chi abbiamo di fronte, dobbiamo aiutarli a scoprire i fili invisibili che portano alle fonti della conoscenza nel web. Fili che procedono da almeno due concetti: la ricerca e l'analisi di attendibilità di quanto trovato.
Un percorso... affascinante!
Il percorso che ho delineato non è semplice, inutile dirsi bugie, ma è affascinante perché squarcia un velo che spesso impedisce ai nostri studenti di apprezzare le fortune di cui dispongono, andando oltre la superficialità di una cittadinanza digitale che li vede nativi digitali, ma inconsapevoli fruitori della periferia del web.
Uomini e donne che rischiano di restare soli,
nel cuore della conoscenza,
trafitti dalle loro paure;
ed è subito sera.
Caro Dario, le riflessioni che hai postato sono particolarmente stimolanti, meritano molta attenzione e tutti gli approfondimenti che avremo modo di fare in occasione del nostro secondo incontro di lunedì prossimo. L'utilizzo didattico dei blog è così diffuso, studiato e applicato che avremo parecchie cose da raccontarci quando ci rivedremo, naturalmente mi auguro che il discorso prosegua anche e soprattutto direttamente proprio qui sul tuo blog. Per ora grazie, a presto!
RispondiEliminaSergio
Concordo nel trovare le tue riflessioni stimolanti e i timori che esprimi sono quanto mai condivisibili. Il percorso non è sicuramente facile, ma tant'è. Penso che in ogni tempo educatori ed insegnanti abbiano affrontato sfide. Nel nostro tempo i cambiamenti (non solo tecnologici) sono accelerati, velocissimi. È e sarà certamente faticoso, ma l'alternativa sarebbe stare fermi, non provare nemmeno ad avvicinarci ai ragazzi, a farli allontanare ancora di più. Penso che dovremmo tentare, e che si possa riuscire.
RispondiEliminaGrazie del tuo scritto.
A presto
Antonella
Sicuramente questa strada sembra essere quella da seguire... ovviamente è la più faticosa; ma quante cose belle e buone nella vita si ottengono senza fatica?
RispondiEliminaQuando poi, ottenuto il risultato, si guarda indietro ci si accorge di quanto è stato bello anche il cammino percorso.
Ty per le riflessioni!
ciao a tutti. la mia strada tutta a curve e in salita tipo Stelvio in copertina del mio blog voleva proprio riassumere con una immagine tutto ciò. Fatica, salita, concentrazione per non uscire di strada ma la vista, arrivati in cima, è impagabile e il viaggio per arrivarci, proprio perchè viaggio verso qualcosa è estremamente umano. L'uomo in quanto uomo tende sempre a qualcosa di altro rispetto a quello che ha nel qui ed ora...a rivederci ad oggi
RispondiEliminaps. o perlomeno io credo questo..
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